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NUVOLETTE - Intervista su Lanciostory n. 18 [12 maggio 2014] - parte I
di Luca Raffaelli
Mi arrivano parecchi libri di fumetti a casa. E a volte anche non a fumetti. A volte anche cose strane come la scatola di Chris Ware di cui abbiamo parlato sul Nuvolette di Lanciostory n. 15. Ma qualche tempo fa mi è arrivato un altro libro tra i più strani del mondo. Un libro in cui le pagine non sono tagliate, perchè il libro è una striscia continua di disegno. Come un pensiero che ha un inizio (un inizio ci deve pur essere in un pensiero) ma che poi va avanti alla ricerca continua di se stesso. Senza fermarsi. Un pensiero che cerca la sua pace, che cerca il proprio respiro, che cerca il vuoto dentro di sè. Ero di fronte a un'opera di Bambi Kramer, artista nata all 'interno di Crack! Fumetti dirompenti, quel fantastico festival del fumetto autoprodotto, diretto da Valerio Bindi, che si svolge ogni anno al Forte Prenestino Occupato. Sempre qui, sempre al Forte, è nato l'astro nascente del fumetto Michele Rech ovvero Zerocalcare. Ma la cosa bella è che Zerocalcare è il contrario di Bambi Kramer. Se lui racconta, lei nasconde il racconto. Se lui divide in vignette i propri commenti nei confronti della vita e del mondo, lei espande su tutto il piano che ha a disposizione il suo essere nel mondo, il suo pensiero non pensiero, il suo racconto non racconto.
Ciao, Bambi. Grazie di essere
qui a Nuvolette!
Ciao, Luca. Ciao, lettori
di Nuvolette!
Come hai cominciato a
fare i tuoi non fumetti
con lo stile che ormai è
una firma di qualità?
II mio stile è cresciuto in
maniera eterogenea,
mosaicata: prima di tutto
perchè disegnavo e
istintivamente mi dava
una profonda soddisfazione
farlo. Da bambina
ai musei, invece di fotografare,
copiavo su un
blocco da disegno quello
che mi colpiva (punte
di freccia, maschere funerarie,
decorazioni sui
vasi. .. ), poi sono passata
a riprodurre fotografie, e di nuovo alla
realtà.
Avevi bisogno di rielaborare dentro di te
quello che vedevi...
Ma il passo più grande è stato abbandonare
ognuno di questi riferimenti esterni
per rivolgermi all'interno. Sotto molti punti
di vista è stato come ricominciare tutto da
capo: non ho mai studiato per disegnare, e
questo significava che se avevo in mente
un'immagine, e il modo in cui avrei voluto
realizzarla, dovevo prima di tutto confrontarmi
con l'impossibilità di farlo senza che
questa venisse piegata, plasmata dai miei
limiti tanto quanto dal tentativo di far fronte
a essi.
C'era da colmare un vuoto.
All 'inizio è stato così: osservavo, amavo e
mi sforzavo in tutti i modi di copiare ciò che
amavo, deformandolo ogni volta: una condizione
un po' frustrante, e me ne rendo
conto ora, molto costrittiva rispetto a ciò che
facevo e alla possibilità di lasciarlo crescere.
C'è voluto del tempo prima di incontrare
una persona come Valerio Bindi, che mi
spingesse a puntare su questo, a curare i
miei limiti e a cercare nell'errore il mio stile,
perchè - mi diceva - è quel modo di sbagliare
l'unica cosa che nessuno può fare
meglio di te. Un anno dopo avevo buttato la
matita e qualunque altra possibilità di correggere
o cancellare ciò che facevo.
Puoi raccontarci dove hai cominciato, magari
dirci il tuo vero nome con l'aggiunta di
qualche riga di storia personale?
Sono nata e cresciuta a Roma. A parte i
molti viaggi e qualche esperienza lavorativa,
sono sempre stata qui. Come dicevo,
tra alti e bassi, ho provato nel corso della
mia vita una forte attrazione per il disegno,
ma nonostante questo non ho mai seguito
un percorso di studi strettamente coerente.
Così mi sono trovata a un passo dai 30 anni
con una maturità classica, restauratrice
di beni culturali con qualche anno di lavoro
all 'attivo, esami sparsi di Storia dell'Arte
contemporanea, Storia e Critica del Cinema,
Antropologia Culturale. E infine una
laurea in Psicologia clinica.
Insomma, una molla carica di vita ma ancora
in cerca di uno scatto.
In questo percorso riconosco ora una
persona che prova a seguire i suoi interessi
con uno sguardo diagonale. Di fatto non
ho mai cominciato a fare quello che faccio,
ma ho iniziato quando ho deciso di prenderlo
sul serio. La mina che ogni volta faceva
saltare i miei piani e le forme che
avevo provato a dare alla mia vita fino a
quel momento, è diventata il filo rosso che
congiungeva e dava coerenza agli ultimi
dieci anni. Se non avessi studiato il greco
antico, se non fossi diplomata restauratrice
e non mi fossi persa in esami solo perchè
mi piacevano, se non avessi tentato di immaginare
come funziona la mente, forse
avrei intrapreso questa strada con diversi
anni di meno, di sicuro non ci sarei arrivata
come Bambi Kramer.
Non hai risposto a tutto, ma per ora sorvoliamo,
anche perchè le sollecitazioni sono
tante. Com'è nata l'idea di cominciare a
mostrare e pubblicare i tuoi disegni?
Sono sensibile alle sfide: dopo anni di latenza
sono passata dalla teoria alla pratica
nel giro di una settimana. Conoscevo Valerio
da qualche mese, e avevamo parlato
più volte dei miei disegni e del desiderio di
farne una professione, ma allora credo
considerassi il suo interesse più come una
lusinga alle mie fantasie private piuttosto
che uno stimolo a espormi, e questo rendeva
tutto il lavoro piuttosto macchinoso e
lento. Così una mattina semplicemente mi
telefona ...
Per ragioni di spazio dobbiamo interrompere qui. La suspense non manca, no? Grazie, Bambi. Cari lettori, alla prossima!